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COWSPIRACY: Il Segreto della Sostenibilità

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Quando pensiamo al riscaldamento globale e all’eccesso di gas serra, a cosa lo associamo? Al ritmo incontrollato del processo di industrializzazione, all’uso spropositato dei trasporti, alle temperature eccessivamente calde o esageratamente fredde dei centri commerciali o delle nostre case?

Probabilmente dopo aver guardato il documentario COWSPIRACY: Il Segreto della Sostenibilità, potremmo avere le idee un po’ più chiare.

I due registi statunitensi Kip Andersen e Keegan Kuhn ci svelano quale sia la principale industria che mina alla salute del nostro Pianeta: gli allevamenti industriali d’animali, meglio noti come “allevamenti intensivi”, per la produzione di carne e latte.

Effettuando un vero e proprio lavoro d’inchiesta, gli autori cercano di individuare i motivi per i quali le più importanti organizzazioni ambientaliste mondiali evitino di affrontare, o più spesso neghino, l’impatto degli allevamenti intensivi sul riscaldamento globale.

Si tratterà di una “cospirazione delle mucche” per non far parlare di loro?

In realtà, al di là dell’ipotesi di partenza che dà il titolo al documentario, il lavoro d’inchiesta del regista Andersen, voce off del documentario, scaturisce dopo aver appreso che il bestiame allevato per la produzione di carne e latte produce circa il 18% di gas serra – principalmente metano e ossido nitroso -, molto di più dell’intero settore dei trasporti mondiale (13%) .

Per avere un’idea dell’effetto dei gas serra prodotti dall’allevamento intensivo sul riscaldamento globale basta un esempio su piccola scala: qualche anno fa, un capannone che ospitava circa 90 mucche in Germania, è esploso a causa delle copiose flatulenze delle stesse. I proprietari evidentemente non conoscevano gli effetti della fermentazione enterica tipica dei ruminanti!

Ma “COWSPIRACY” ci racconta come gli effetti degli allevamenti intensivi non si fermino al riscaldamento globale, ma tocchino anche problematiche quali il consumo  delle risorse ed il degrado ambientale. Ed in particolare:

  1. ECCESSIVO CONSUMO DI ACQUA:
  • Ogni giorno gli allevamenti intensivi mondiali bevono 170 miliardi di litri d’acqua e mangiano 62 milioni di tonnellate di cibo, a fronte di noi tutti essere umani che contemporaneamente consumiamo 19,7 miliardi di litri d’acqua e 9,5 milioni di tonnellate di cibo.
  • Per produrre un hamburger di 110 grammi occorrono 2500 l d’acqua (l’equivalente di 2 mesi di docce giornaliere di un uomo medio), mentre per produrre 1 l di latte vaccino, una mucca ogni giorno consuma 150 l d’acqua e 65-68 kg mangime.
  • Tonnellate d’acqua preziosa viene impiegata ogni anno per irrigare i campi coltivati a foraggio (soprattutto soia e mais) destinati agli allevamenti, mentre tonnellate di deiezioni, non adeguatamente smaltite, si riversano nelle acque superficiali. Il risultato? L’acqua è sempre meno disponibile, perché non riesce a rigenerarsi con la stessa velocità con cui viene consumata.
  1. DEFORESTAZIONE e conseguente ESTINZIONE DELLE SPECIE ANIMALI INDIGENE E DEL LORO HABITAT. La distruzione, per creare campi da utilizzare come pascolo e per la coltivazione del foraggio, riguarda territori estesi come la foresta pluviale.
  2. SPOPOLAMENTO DEGLI OCEANI: la pesca selvaggia e continua impedisce alle specie animali di rigenerarsi e provoca la creazione di intere zone morte dell’oceano.

Gli allevamenti intensivi rispondono alla richiesta di un Mondo che chiede sempre più carne, sempre più latte: per i circa 7,5 miliardi di esseri umani che abitano la terra si allevano circa 70 miliardi di animali all’anno. Come sappiamo, con notevoli differenze di distribuzione geografica…

E perché non trasformare gli allevamenti in sostenibili? Perché non ci sarebbe abbastanza spazio per allevare miliardi e miliardi di animali in modo sostenibile in grado di soddisfare la richiesta di carne di una popolazione mondiale in crescita.

Il professore Michael Pollan, autore de “Il dilemma dell’onnivoro” azzarda una stima: “La quantità sostenibile di prodotti di origine animale è 60 grammi a settimana per persona di carne, latte e derivati”.

Sebbene il documentario racconti degli allevamenti intensivi statunitensi, è noto come la situazione europea, ed in particolar modo italiana, non sia molto diversa, come ci dimostrano le innumerevoli inchieste condotte da programmi e giornalisti coraggiosi (uno su tutti “Report”) in grado di sdoganare uno degli argomenti tabù del settore alimentare nazionale.

A fronte di un circolo vizioso che appare senza fine, il regista Anderson propone una soluzione su cui aleggia un po’ di utopia ma tanta speranza perché, come afferma uno dei suoi intervistati: “Nessuno vuole sentirsi dire di cambiare abitudini”.

“COWSPIRACY” è un documentario che fa riflettere e che richiede un nostro contributo reale.

Sappiamo che ogni cambiamento si verifica solo in seguito ad una presa di coscienza.

Il cambiamento associato al consumo di prodotti animali nella storia, e in particolar modo della carne, sono da sempre collegati soprattutto ad un cambiamento di natura culturale verificatosi sin dalla la nascita delle prime grandi civiltà: è qui che la carne assunse il ruolo di aggregante sociale, di alimento cardine di simbologie religiose, di prestigio, di benessere.

Nei secoli, il consumo di carne è divenuto un modello alimentare fondante le sue basi su ideologie storiche ben definite: accedere al consumo generalizzato di carne, come è stato lentamente per tutto l’Occidente e per tutti i Paesi che si affacciavano ad esso, significò lasciarsi alle spalle l’ombra terribile della fame ed emblematicamente lo status di popoli sottomessi.

La nascita degli allevamenti intensivi è una conseguenza non solo della crescita demografica ma soprattutto del benessere della popolazione: basta pensare all’Italia nella quale, a partire dal “Boom economico”, si è assistito ad una crescente richiesta dei prodotti di origine animale fino a quel momento più elitari, ovvero carne e pesce, come segno di diffuso benessere. Come conseguenza, gli alimenti di origine animale hanno infatti subito un notevole abbassamento nel costo, divenendo accessibili a tutti, proprio come teorizzato da Darwin.

In un’epoca di cambiamenti epocali come la nostra, perché non modificare le nostre scelte quotidiane?

Tutte le azioni che compiamo ogni giorno per ridurre il nostro impatto ambientale (spegnere le luci accese inutilmente in casa, riciclare i rifiuti ed evitare di farli finire in discarica, chiudere il rubinetto dell’acqua se non serve ecc.) possono fare la differenza, ma soprattutto a fare la differenza saranno le nostre scelte alimentari.

Proprio come ci ricorda anche Leonardo DiCaprio nel suo recentissimo documentario “Before the flood”, il punto di non ritorno, il punto in cui i cambiamenti climatici impediranno lo sviluppo della vita come adesso la conosciamo, può essere reversibile. Non sono sufficienti gli interventi governativi e gli accordi internazionali, ma sono necessari cambiamenti di ogni singolo individuo, soprattutto modifiche importanti delle nostre diete.

“COWSPIRACY” ci suggerisce che “il segreto per un futuro sostenibile” risiede nelle nostre scelte alimentari: riduciamo notevolmente il consumo dei prodotti di origine animale (carne, pesce latte e derivati) a favore di prodotti di origine vegetale (cereali integrali, legumi, verdura, frutta secca e fresca).

Guadagniamo salute: il giusto nutrimento per il nostro organismo è quello sostenibile anche per il nostro Pianeta!


http://www.fao.org/newsroom/en/news/2006/1000448/index.html

http://www.repubblica.it/ambiente/2014/01/28/news/mucche_gas_metano_esplosione_germania-77144975/)

Montanari Massimo. Il cibo come cultura, Edizioni Laterza, Roma, 2004

Darwin C., “La variazione degli animali e delle piante allo stato domestico”. Edizione Einaudi – I millenni. 2011 pp. XCVIII – 916

 

Per maggiori informazioni  http://www.cowspiracy.com/

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